Quando il piccolo completa la crescita: piumaggio, muscoli, nervi, desiderio di orizzonti ampi; scalpita per uscire dal nido e cominciare ad allontanarsene. L’Aquila adulta non glielo impedisce; lo accompagna nelle prime uscite e, quando capisce che è abbastanza forte, lo lascia andare e, esce dalla sua vista , salendo in alto e seguendo il suo volo con ampi cerchi.
Sa che è capace di volare, ma manca di alcune conoscenze fondamentali, per un predatore: il movimento e la forza dei venti, che può influenzare la sua direzione e la capacità, di organizzare le proprie forze in modo di non trovarsi troppo lontano dal nido al calare della notte, rischiando, di divenire preda, dei rapaci notturni.
Interviene solo se lo vede in difficoltà o in pericolo. Gli permette di sperimentare le proprie forze ed energie, i propri limiti, poi interviene; lo pone sulle sue ali e lo riporta al nido. L’Aquila è l’unico volatile che porta sulle ali il piccolo, gli altri li prendono delicatamente con gli artigli.
Nelle nostre società complesse nessuna famiglia potrebbe avere questo sguardo, sui propri figli, ma una comunità si, attraverso il modo in cui vengono formati e accompagnati alla crescita.
Alla base vi è il senso di responsabilità esperienzale e umana dei genitori e come vengono accolti nella loro singolarità e educati alla condivisione e al valore della diversità, a un “uguaglianza concreta” capace di valorizzare l’unicità di ciascuno.
Veramente il nostro futuro dipende da questo sguardo d’aquila, che può solo essere comunitario e tradursi in azioni profondamente radicate nelle realtà territoriali; favorendo sperimentazioni, indirizzando risorse, monitorandole, verificandole.